
Scenari in trasformazione: le politiche americane ridefiniscono i mercati mondiali
INSIGHTS - ECONOMIND
Scenari in trasformazione: le politiche americane ridefiniscono i mercati mondiali
Scenari in trasformazione: le politiche americane ridefiniscono i mercati mondiali
La Presidenza attuale americana ha introdotto elementi di discontinuità nella politica economica. Gli Stati Uniti si muovono verso una probabile fine del multilateralismo, adottano politiche fiscali espansive, promuovono iniziative di reshoring.
Nonostante lo scenario appaia complesso, l’economia mondiale continua a crescere e i rischi di recessione, in particolare per gli Stati Uniti, sembrano essere stati superati.
L'Europa mostra una resilienza maggiore del previsto nella prima metà del 2025, mentre l’export italiano cresce e guarda ad altri mercati.
In questo podcast ne parlano Gregorio De Felice, Chief Economist Intesa Sanpaolo e Carlo Altomonte, Docente di Economia dell'Integrazione europea all'Università Bocconi.
Podcast -trascrizione completa
INTRODUZIONE
Gregorio De Felice. Lo scenario economico per i prossimi mesi appare incerto e complesso. Partiamo però da un punto fermo. La Presidenza Trump ha portato elementi di discontinuità nella politica economica. Gli Stati Uniti si muovono verso una probabile fine del multilateralismo. Le guerre commerciali in corso si sono aggravate. La politica fiscale americana risulta molto espansiva. Sono state adottate politiche di reshoring per far rientrare produzioni manifatturiere negli Stati Uniti e infine la Federal Reserve è sotto attacco.
Tutto questo ha sorpreso molti osservatori e creato incertezza tra gli operatori economici. Agli Stati Uniti si contrappongono potenze come Cina, India, Brasile, Russia, Turchia, che cercano di estendere la propria rete di alleanze e di ridurre l'egemonia del dollaro. L'Unione Europea, emblema della pace dopo la Seconda Guerra Mondiale, fatica a proiettare la propria influenza per prevenire o fermare le ostilità.
Le misure protezionistiche adottate dagli Stati Uniti hanno innalzato il dazio medio effettivo applicato alle importazioni al 18,6%, il livello più elevato dagli anni 30. Inoltre, gli accordi quadro conclusi con diversi Paesi includono delle previsioni di aumento di investimenti diretti o di acquisti di prodotti americani che potrebbero creare contrasti nei prossimi anni. Ma l’agenda Trump non si limita alle politiche commerciali, la politica fiscale americana resta espansiva e non compensata dai tagli alla spesa sanitaria e da quello che potrà essere il gettito dei dazi.
L'indipendenza della Fed è a rischio, minacciata dal tentativo di modificare la composizione del board con l'inserimento di membri fedeli al Presidente, così come avvenuto con altre agenzie federali. Ricordo, tra i vari casi, l'ufficio di statistiche per il lavoro.
Il rischio è quindi che la politica monetaria sia assoggettata agli interessi del Tesoro, con un disancoraggio delle aspettative di inflazione e di un aumento dei premi per il rischio nei tassi a lungo termine.
Nonostante ciò, l'economia mondiale cresce e i rischi di recessione che si paventavano all'inizio dell'anno, in particolare per gli Stati Uniti, sembrano essere venuti meno.
La politica monetaria procede verso la normalizzazione del livello dei tassi di interesse, ormai vicino ai valori cosiddetti naturali. L'economia dell'eurozona mostra una resilienza maggiore del previsto nella prima metà del 2025 e questo grazie a fattori transitori e irreversibili, come l'anticipo delle esportazioni verso gli Stati Uniti, ma grazie anche a un andamento migliore delle attese di investimenti delle imprese e dei consumi delle famiglie.
Un interrogativo riguarda quindi quali strade potrà intraprendere l'Europa per evitare di restare schiacciata tra Stati Uniti e Cina. Di questo e di altri temi ne parleremo oggi con il nostro gradito ospite, il professor Carlo Altomonte, Docente di Economia dell'Integrazione europea all'Università Bocconi. Buongiorno Professore.
INTERVISTA
Carlo Altomonte. Bentrovati, buongiorno a tutti.
Gregorio De Felice. Cominciamo dalla prima domanda: l'Unione europea e gli Stati Uniti hanno finalmente concluso un accordo commerciale dopo quel famigerato Liberation Day nel Giardino delle Rose di Washington. Cosa pensa di questa strategia protezionistica americana?
Carlo Altomonte. Contrariamente a quello che leggiamo anche in autorevoli commentatori, il protezionismo americano non è figlio di una lettura superficiale o, se vogliamo, sbagliata, dell'economia globale, o che ignora per ragioni demagogiche gli effetti economici delle tariffe, ma risponde a una precisa logica che è quella che in qualche modo richiede agli Stati Uniti di modificare l'equilibrio di lungo periodo in cui sono finiti dopo trent'anni di globalizzazione.
Oggi gli Stati Uniti sono, diciamo, gli assorbitori della domanda globale. Gli eccessi di produzione cinese o gli eccessi di esportazione europea finiscono negli Stati Uniti e questo negli anni ha fatto sì che la posizione finanziaria netta americana, cioè la differenza tra quanto gli Stati Uniti possiedono di attivi nel resto del mondo e quanto il resto del mondo possiede invece di attivi degli Stati Uniti, sia aumentata a dismisura.
Oggi gli Stati Uniti hanno una posizione finanziaria netta negativa per oltre 24 trilioni di dollari, pari a circa il 95% del loro PIL, un quarto dell'economia globale. Mai nel mondo un paese aveva avuto questa posizione finanziaria netta così sbilanciata. Ovviamente si tratta degli Stati Uniti: essendo loro gli emettitori della valuta di riserva globale, questo non determina necessariamente un problema finanziario nel breve periodo per gli Stati Uniti stessi, ma sicuramente questa posizione determina dei costi per l'industria americana, per la società americana, per la stessa capacità strategica americana di avere possibilità di vincere la sfida tecnologica con la Cina. Gli USA sono drammaticamente indietro da un punto di vista della scala stessa di produzione, che viene evidentemente compressa da deficit commerciali persistenti nel tempo e da un dollaro che per ragioni finanziarie e di dominanza strategica resta sopravvalutato.
Quindi, proprio per queste ragioni, chiunque sia il presidente, Trump, Harris o Vance, l'agenda americana secondo me non sarebbe cambiata molto. Certo, poi uno può scegliere quanto protezionismo imporre e quanto velocemente farlo, ma l'agenda americana oggi è molto razionale rispetto agli interessi degli Stati Uniti.
Gregorio De Felice. Grazie. Quali saranno le implicazioni di questo accordo con l'Europa per quanto riguarda gli Stati membri nei prossimi mesi?
Carlo Altomonte. Ora, l'Europa evidentemente si trova a dover gestire questo protezionismo americano e nel breve periodo ne soffrirà, perché gli Stati Uniti, a torto o a ragione, sono appunto il principale mercato di sbocco delle merci europee, in particolare per alcuni paesi, penso all'Italia e alla Germania in primis, anche se poi di fatto l'Europa in complesso, rispetto agli Stati Uniti, ha una posizione commerciale quasi nulla se mettiamo insieme l'esportazione di beni e servizi e le importazioni degli stessi. Noi importiamo molti servizi digitali dagli Stati Uniti, esportiamo molti beni, il saldo complessivo di partite correnti è quasi nullo. Ma il punto, dicevo, è che gli Stati Uniti non vogliono assorbire nostre produzioni industriali per ragioni politiche, per ragioni strategiche. Quindi l'impatto sarà sicuramente negativo nel breve per qualche decimale di crescita in meno. Quello che bisognerà poi vedere è in che misura gli Stati Uniti accetteranno una posizione diciamo negoziale che si ferma qui, con tariffa al 15%.
Oggi Washington dice che tutto sommato gli europei sono venuti fuori bene dal negoziato perché in cambio di nessun migliore accesso al mercato europeo delle imprese americane si è imposto solo un dazio del 15%, quindi bisognerà capire se nei prossimi mesi la posizione americana sarà solo quella dei dazi o se invece non chiederanno altre cose.
Gregorio De Felice. Rimane tutta l'incognita dell'impegno per gli investimenti e per gli acquisti di beni americani che secondo me è di difficile realizzazione. Ma, lasciando da parte questo, quali potranno essere gli effetti per l’Italia? L’Italia, si dice, ha qualche chance in più per attenuare l'impatto dell'incremento dei dazi. È proprio così?
Carlo Altomonte. L’Italia, in effetti, è sicuramente molto esposta alle esportazioni verso gli Stati Uniti, ma ha due caratteristiche che la rendono un po’ più, diciamo, flessibile, come sempre accade.
Da un lato, il principale settore di esportazione è il settore farmaceutico, di cui gli Stati Uniti hanno un gran bisogno perché il settore farmaceutico americano non è in grado di essere autonomo e chiuso rispetto al resto del mondo e quindi evidentemente da questo punto di vista ci sono già, e sono già state negoziate, tutta una serie di esenzioni che di fatto riducono la tariffa effettiva che l'Italia fronteggia nei confronti degli Stati Uniti.
La seconda caratteristica è che l'export italiano, che pur continua a crescere con successo negli ultimi anni, meglio di quello francese e tedesco, lo fa ultimamente in mercati fuori da quelli tradizionali, quindi Cina, Giappone e Stati Uniti. Lo fa in mercati a medio reddito, per esempio tutto il Golfo, l’Indonesia, l'America latina, e quindi da questo punto di vista sembra che l'Italia abbia trovato un po’ una chiave per differenziare meglio il proprio export. Tra qualche mese se tutto va bene partirà l'accordo commerciale con il Mercosur che da solo vale circa un terzo delle esportazioni americane per noi e quindi, insomma, ci sono buone speranze che lo shock americano possa essere diversificato nei prossimi mesi.
Gregorio De Felice. Abbiamo parlato dell'agenda Trump, ma l'agenda dell’Europa? Ci stiamo muovendo sulla strada giusta? L'attenzione principale mi pare che sia per la difesa, basta questo? Che cos'altro ci vorrebbe?
Carlo Altomonte. Scott Bessent, il Segretario al Tesoro americano, a Washington, ai meeting del Fondo Monetario lo scorso aprile, in un discorso ha chiesto esplicitamente agli europei e ai cinesi di dare una mano all'aggiustamento di bilancia dei pagamenti americana a cui facevo riferimento prima, cioè ha detto esplicitamente all’Europa: non basate il vostro modello di crescita sulle esportazioni, basatelo di più sui vostri investimenti interni, sulla riduzione di quelle barriere interne al mercato di cui parlava anche Mario Draghi recentemente e su un investimento maggiore. Sicuramente a partire dalla difesa, e questo va nella direzione giusta, ma anche in tutti gli altri settori che i rapporti Letta e Draghi hanno identificato come critici e strategici per l'Unione europea, in particolare quello dei servizi digitali di telecomunicazioni e quello dell’energia, settori in cui il mercato europeo è ancora troppo poco integrato, ancora troppo dipendente su basi nazionali e che invece andrebbero liberalizzati e in qualche modo condivisi tra diversi Stati.
Con una battuta si può dire che, di fatto, il migliore sponsor che oggi esista per la realizzazione dell'agenda Draghi in Europa è Donald Trump.
Gregorio De Felice. Bene con questo concludiamo il nostro podcast. Un vivissimo ringraziamento al Professor Carlo Altomonte, Docente di Economia dell'Integrazione europea all'Università Bocconi di Milano.
Carlo Altomonte. Grazie, arrivederci.